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Non abbiamo trascorso l’ultimo mese tra gli armadi però qualche riflessione sul work dress code l’abbiamo fatta!

Ogni realtà organizzativa, si sa, possiede un più o meno esplicito codice di abbigliamento, ovvero un insieme di regole atto a disciplinare il modo di vestirsi nei diversi luoghi di lavoro; buone ragioni per la sua esistenza ci sono: evitare che qualcuno si presenti in ufficio in minigonna e tacchi a spillo, piuttosto che in infradito e bermuda, o dare un’idea di profes­sionalità e competenza nel caso di ambienti formali, che quindi richiedono abiti piuttosto rigorosi.

Tanti lavoratori sono costretti a indossare una vera e propria divisa, pare soprattutto per il forte senso di appartenenza e sentimenti di uguaglianza che suscita, e risparmio di tempo e denaro.

Per tutti coloro che sono costretti a regole d’abbigliamento ferreo per tutta la settimana (lavori in divisa esclusi), abbiamo scoperto l’esistenza del Casual Friday, il venerdì di trasgressione, durante il quale è lecito indos­sare jeans, magliette e scarpe da ginnastica, il tutto per favorire un’atmosfera rilas­sata, allegra e di festa.

La questione del work dress code è legata, tuttavia, anche a fenomeni che superano il contesto organizzativo. Ci riferiamo per esempio alla campagna ecologica Cool Biz e a quella di “costume”, come la tendenza americana di stare a piedi scalzi, dappertutto, anche in ufficio.

Dulcis in fundo non potevamo farci mancare un piccolo sondaggio interno a Project Group, teso a sondare la relazione tra modo di vestirsi e produttività. I risultati, discordanti, ci hanno portato a pensare che l’abito, probabilmente, ha effetti positivi sulla produttività solo se ne sei convinto.

Ben lieti di accogliere vostri commenti e opinioni riguardo ai temi trattati, desideriamo anticiparvi il prossimo argomento: il Natale sul lavoro