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La questione del work dress code è molto più legata al problema ecologico di quanto possa sembrare…Vi ricordate la campagna Cool Biz (unione delle due parole inglesi cool e business) promossa nel 2005 dall’allora Ministro dell’ambiente giapponese? Il Governo nipponico aveva deciso di aumentare la temperatura dei condizionatori d’aria (da 25 a 28 gradi) degli uffici pubblici per diminuire le emissioni di gas serra, in rispetto al protocollo di Kyoto. Questa decisione aveva una ragionevole conseguenza: lasciare a casa giacca e cravatta e vestirsi a favore di un look più casual, ovvero in maniche di camicia (e bermuda?), così da sopportare meglio l’elevata temperatura dell’ufficio.

L’idea ebbe grande successo e l’effetto sperato, tanto che nel Sol Levante l’iniziativa si ripete ogni anno.

Non ebbe invece la medesima fortuna il corrispettivo invernale, il Warm Biz, che prevedeva meno calore negli ambienti di lavoro (20 gradi centigradi) e un abbigliamento decisamente pesante.

In Italia la variante estiva è stata accolta e introdotta nel 2007 dall’Eni, con il progetto “Eni si toglie la cravatta”, che, stando ai dati comunicati dalla stessa azienda, ha consentito un uso più razionale dei condizionatori d’aria, con conseguenti risvolti positivi per la quantità di CO2 emessa.

Di altrettante iniziative, Cool o Warm che siano, non ci è giunta notizia, quantomeno più recente. Come mai? Sarà un problema di salute, di moda o di poca sensibilità ecologica?