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Lo psicologo piace, anche in azienda.

Recentissimi sono i risultati della ricerca condotta dall’Ispesl (Istituto superiore per la sicurezza sul lavoro), che ci parla di un 43% di lavoratori italiani che non stanno bene sul luogo di lavoro perché affetti da disturbi fisici e psichici correlati ad esso.

Il malessere, che diventa ben presto malattia (disturbi gastrointestinali, depressione, insonnia, attacchi di panico, ansia e fobie), è dovuto principalmente a carico di lavoro eccessivo, prepotenza e discriminazione dei colleghi.

A tutti questi fattori si aggiunga la cosiddetta sindrome del lavoro precario, ovvero il malessere derivante dall’incertezza e dalla paura di rimanere senza impiego.

Ecco allora l’iniziativa dell’Assessorato alla Salute di Milano, in linea con il Decreto sulla Salute e Sicurezza sul lavoro, di potenziare la presenza dello psicologo nei luoghi di lavoro, ancora troppo carente.

Un segnale assolutamente positivo per tutti i lavoratori, soprattutto per coloro che versano in uno stato economico negativo e che per questo non possono permettersi cure psicologiche di lungo periodo.

Tuttavia ci sorgono spontanee una serie di domande: quale sarà la trafila burocratica per ottenere un sostegno di questo tipo? Quali le condizioni per ottenerlo? Sarà così semplice restare nell’assoluto anonimato? Perché, ahimé si sa, andare dallo psicologo è ancora un diffusissimo tabù