Tempo di lettura 3 minuti
Nel post precedente ho sottolineato come il modello del pagamento diretto delle news sia ormai superato. Anche per chi (vedi la carta stampata con esclusione della free press) dai ricavi in edicola ancora trae una percentuale significativa dei propri ricavi.
Rimane il problema del modello di business per il futuro, alla luce di una difficoltà evidente del mercato editoriale che ha perso copie, tagliato redazioni e strutture, ridimensionato i piani.
L’esempio viene da molti settori. Prendo uno spunto fra tanti possibili. Il mercato della calzatura si sta riposizionando alzando i prezzi dei prodotti. I dati dell’associazione di categoria (Anci) parlano di un incremento del prezzo medio di acquisto dell’1,7% anziché un +5,5% per le scarpe in pelle da passeggio nel primo semestre del 2009.
Lo stesso dovrebbe fare il mondo dei media: selezionare gli inserzionisti nel segno della qualità, in altre parole alzare le soglie d’accesso. Anni fa Linus su radio DeeJay lo disse chiaramente: “non tutti possono essere inserzionisti della nostra emittente”. Ebbene, quella che sui media leader del mercato è una strategia consolidata dovrebbe diventarlo progressivamente anche per gli altri. Non si tratta di rinunciare a potenziali ricavi facendo un salto nel vuoto, ma di affermare un rapporto biunivoco di interessi fra testate e inserzionisti.
Diffondere la logica del posizionamento dei grandi investitori alle piccole e medie imprese è una chiave di volta interessante. Poniamo l’esempio dei quotidiani locali. Se la mia testata si distingue per qualità dell’informazione dalle altre presenti sul mercato lo deve fare anche selezionando chi ha le caratteristiche per esserne un autorevole inserzionista. Prendete i free press: nella città di Brescia per esempio ne conto a memoria almeno 5, con un livello qualitativo dell’informazione certamente inferiore rispetto ai due quotidiani principali, ma con la stessa identica politica publicitaria: se paghi sei in pagina, che tu sia una primaria azienda o un pluriprotestato dalla dubbia moralità non conta, a patto che paghi il dovuto.
Un brand importante come Coca Cola non si posiziona ovunque, sceglie il meglio. Perchè questa logica non deve funzionare anche in una Pmi legata al territorio che tiene alla valorizzazione della sua immagine? Ed il ragionamento può valere per i media tradizionali come per l’online e per i blog. Qualità e autorevolezza contano per chi scrive e per chi fa le inserzioni finanziando indirettamente l’attività giornalistica – informativa – divulgativa.
Il pubblico, al contrario di quello che si crede, riconosce la qualità di una testata anche da questo. E classifica anche in base ai brand che vede nelle inserzioni. Una realtà talmente vera (ma sottovalutata) questa, da aver recentemente creato negli Usa un vero e proprio “caso” alla Morgan Stanley di cui parleremo nel prossimo post. (2. continua).