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A seconda del tipo di mansione che si svolge, dell’azienda e della realtà presso cui si lavora (pubblica o privata) variano anche le norme di regolamentazione della cosiddetta pausa caffè. Vi sono ditte o aziende in cui la gestione del break non è predeterminata, risultando piuttosto flessibile, sia nella sua collocazione giornaliera, che nella durata e modalità. Tuttavia, il più delle volte, tempo d’esecuzione e numero dei lavoratori per break è stabilito a priori dai dirigenti dell’azienda. Il motivo fondamentale di tali restrizioni risiede nella convinzione dei “superiori” che la pausa caffè sia una perdita di denaro per il proprio business e/o una perdita di tempo per l’efficienza del servizio erogato.

Un caso piuttosto recente, ci informa, addirittura, della soppressione totale della medesima. È il caso della Ducati energia di Bologna che, dopo aver predisposto un timer nelle macchinette dell’azienda, ha optato, nella persona del patron dell’azienda Guidi, per una misura più drastica: niente pausa caffè, è già prevista la pausa pranzo! (beh, non fa una piega). L’arrestarsi dei dipendenti e il loro dimorare di fronte alle macchinette sarebbe oltretutto uno “spettacolo deprimente”, sotto gli occhi dei clienti provenienti da tutto il mondo! Come dire: meglio preservare l’immagine aziendale, che il benessere psicofisico dei lavoratori…

Una soluzione meno drastica, ma comunque molto rigida è stata presa anche dal sindaco di Offida (AP) , Valerio Lucciarini, che ha disposto una circolare per disciplinare la pausa caffè: è possibile interrompere il proprio lavoro a condizione che vi sia una registrazione della temporanea assenza (segnata dai rilevatori automatici appositi) e un puntuale recupero dei minuti di lavoro persi. Egli stesso afferma: “Non capisco tutto questo clamore, è semplicemente una modalità dettata dal buon senso (!). A volte c’è quella brutta abitudine a non stare tanto attenti ai minuti che si utilizzano per la pausa, a differenza, invece, di come si sia vigili all’orario d’uscita, quest’ultimo rispettato con precisione svizzera”. Ammettendo anche la veridicità di quest’ultima affermazione (dovevano essere proprio indisciplinati questi dipendenti comunali marchigiani!), non esisterà davvero una via di mezzo tra una pausa tranquilla e una, svolta sotto torchio? Ma non finisce qui: coloro che vengono sorpresi in assenze non giustificate subiranno una riduzione della propria retribuzione mensile..

Il Comune di Anghiari (Arezzo) , nella persona del responsabile del personale Ernesto Capruzzi (e con il caloroso consenso del sindaco) ha disposto per i suoi dipendenti una regolamentazione molto dettagliata della pausa lavoro. Questa prevede un solo break giornaliero. Per coloro che lo effettuano fuori dai locali di lavoro non deve superare i 15 minuti e deve essere recuperato nella stessa giornata o, al più, nello stesso mese. L’impiegato è obbligato ad autogiustificarsi e annotare il permesso sul cartellino. Per quelli invece, che la effettuano all’interno del comune, non deve essere superiore ai 10 minuti. Per il personale esterno, infine, la circolare obbliga lo svolgimento della pausa nello stesso luogo di lavoro. Il sindaco tiene a precisare che tali disposizioni intendono assicurare un servizio più che efficiente, nel totale interesse dei cittadini e che i dipendenti del Comune sono molto seri e professionali, il tutto per scacciare qualsiasi tipo di insinuazione sulla presunta volontà di punire o colpevolizzare gli impiegati comunali di Anghiari.

Inutile dire che tutte queste azioni, piuttosto drastiche e restrittive, hanno sollevato polemiche di lavoratori e sindacati.

La domanda sorge spontanea: regolamentare o vietare?

Gli esempi citati non rappresentano forse una progettazione assolutamente dispotica del diritto di pausa dei lavoratori, avvicinandosi più al senso del divieto, che alla risposta ad un bisogno?