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Ok, arrivo un po’ in ritardo (Ettore Livini ne aveva già parlato nel lontano gennaio 2011 nell’articolo “ll padrone in fabbrica spopola in tv e fa bene all’azienda“), ma non ne conoscevo affatto l’esistenza fino a un mese fa.

Mi riferisco al reality made in Britain “Undercover Boss“, che vede amministratori delegati di grandi imprese entrare nei panni (nel vero senso della parola) dei dipendenti e svolgere le mansioni più umili per una settimana, a fianco dei propri sottoposti. Questi ultimi sono tenuti all’oscuro della vera identità del capo fino al momento ufficiale dello svelamento.

Inutile dire che la situazione che si crea è davvero interessante, soprattutto per i risvolti umani e lavorativi che essa comporta.

Il programma pone infatti una questione molto delicata, quella del rapporto tra dirigenti e sottoposti e la frequente incomunicabilità tra i due livelli gerarchici. Forse oggi meno di un tempo, ma la difficoltà a comunicare porta spesso, chi copre i vertici più alti, a prendere decisioni inadatte ai dipendenti, con risvolti critici per il loro benessere e per la resa della stessa azienda.

La vicinanza forzata consente al capo di conoscere i propri dipendenti sotto una luce più umana; mettendosi “nei panni di” il boss sperimenta lo svolgimento di determinati compiti e acquisisce una visione realistica delle necessità legate a quel ruolo, comprendendone le esigenze e i limiti.

Le puntate hanno sempre un lieto fine e il manager, solitamente piuttosto impacciato nei panni del dipendente, si mostra comprensivo verso i “colleghi” a cui si svela.

Se da una parte l'”happy end” insinua dei dubbi sulla totale veridicità delle vicende narrate, dall’altra il programma ha il pregio di porre la questione della collocazione delle risorse umane all’interno dell’azienda, del benessere dei lavoratori e delle loro potenzialità produttive.

A questo punto mi chiedo: le informazioni sui dipendenti ricavabili da un’esperienza di questo tipo non valgono forse molto di più di mille questionari di soddisfazione dei dipendenti, di monitoraggio dei tempi di lavoro, di analisi delle competenze e chi più ne ha più ne metta? Che si siano aperte le porte ad un nuovo fronte all’interno della consulenza? Ai posteri l’ardua sentenza.