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La formula della viralità esiste? Diciamo che è un po’ come la formula della Coca Cola, esiste ma è segreta.

Questo è quello che abbiamo dedotto sfogliando le pagine del numero di Maggio di Wired ed imbattendoci in un articolo dal titolo “La formula della viralità“.

Qualcuno ha provato a svelarla ai più, cercando di identificare quegli elementi che si ripetono ogni qualvolta un contenuto, video foto o altro, diventa virale ed ha scoperto che: bisogna agire all’incirca come un virus, da cui appunto la derivazione del termine viralità.

Così come un virus ha una sua ragione d’essere, il genoma virale, così anche un video o una foto devono avere un contenuto di qualità che ne giustifichi l’esistenza. Un contenuto non solo curato dall’interno, ma anche all’esterno. Il che significa che non è sufficiente avere un contenuto di valore, ma è necessaria una confezione che lo renda appealingquindi massima attenzione all’aspetto grafico e di design.

Un contenuto che nasca per essere condiviso deve piacere a tutti o per lo meno a molti, deve essere indirizzato ad una community attiva e partecipe, deve emozionare e creare piacevoli esperienze ed ultimo, ma non per importanza, deve colpire i tastemakers o influencers che dir si voglia.

To be or not to be? Se scegliamo di rispondere to be, allora, alla definizione e alla cura grafica del contenuto deve seguire una pianificata strategia di contagio, alias di distribuzione, definendo su quali canali dirigersi e con quali tempistiche. Sì perchè possiamo aver creato, scattato, girato le più belle foto e i più bei video del mondo, ma finchè li terremo nei nostri cassetti nessuno li conoscerà.

Così come un virus intacca le cellule sane di un organismo, allo stesso modo il nostro contenuto deve arrivare a più persone possibili; dunque spazio alle condivisioni sui social network.

Ma cosa spinge davvero gli user ad attivare azioni di sharing sui propri social media? Cerchiamo di capirlo insieme.  Ancor prima di scoprire il fuoco, l’uomo scoprì di aver dentro di sè un innato bisogno di vivere in gruppo e di far parte di una tribù. Oggi online la chiamano community, ma poco cambia. Quello che spingeva gli uomini a compiere gesti estremi e che spinge oggi gli utenti a condividere contenuti online, è proprio il bisogno di farsi accettare e di sentirsi parte di un gruppo che la pensa come noi o che condivide i nostri stessi interessi e passioni.

Un esempio potrebbe essere quello di Sammy Griner: il nome non vi dirà assolutamente nulla ma, guardando la foto del post tutto si farà sicuramente più chiaro! Il suo faccino corrucciato ed il pugno chiuso sono diventati un vero e proprio caso virale sul web dal 2011.

Riassumendo il tutto: se avete un’idea di qualità, se sapete curarla nel packaging rendendola appealing, se la shareate sui social corretti, se coinvolgete una community e colpite qualche influencer…allora potreste dar vita ad un contenuto virale. A noi di Project Group è successo proprio così: abbiamo avuto una bella idea, l’abbiamo confezionata sotto forma di video, condivisa su Youtube e successivamente sui social; poi la fortuna è stata dalla nostra e.. boom! una viralità inaspettata ci ha travolto.

Ricordatevi che serve sempre una buona dose di fortuna, quando avete a che fare con il web e i social network; sì perché qualcuno ha provato a svelare la formula della viralità, ma c’è sempre qualcosa di indecifrabile in essa.